lunedì 23 gennaio 2012

Ricordando Luigi Tenco: La vita, la musica e la morte fra misteri e arte

Il 27 gennaio 2012 saranno passati 45 anni dalla morte di Luigi Tenco. Poche vicende hanno simmetricamente diviso l’Italia per così tanto tempo come la tragica fine del cantautore genovese. L’annosa dicotomia tra omicidio e suicidio, emersa fin dalle prime ore di quella notte del gennaio 1967, sembra ancora lontana da una soluzione certa. Ma ripercorriamo brevemente la storia di questo ragazzo morto prematuramente all’età di 29 anni.
Luigi Tenco nasce a Cassine (Alessandria) il 21 marzo 1938. La passione per la musica è evidente fin da piccolo: a soli 15 anni fonda il suo primo gruppo, la Jelly Roll Boys Jazz band. A 19 anni entra nel Trio Garibaldi e la voglia di sperimentare nuovi strumenti ne perfeziona la tecnica. Sono i primi passi nel mondo della musica, la stessa che sarebbe diventata da lì a qualche tempo la vera passione di una vita breve ma intensa. Il talento di Tenco è evidente e la svolta arriva nel 1959: l’amicizia con Gianfranco Reverberi lo porta a trasferirsi a Milano dove ottiene i primi lavori suonando il sax in tutte le incisioni della casa discografica Dischi Ricordi. Arrivano così altri contratti, dapprima con la Jolly e infine con la RCA italiana. Quest’ultima ha grandi progetti per Tenco: nell’estate 1966 gli affianca Dalida, una star internazionale, e nei mesi successivi matura l’obiettivo di vincere il successivo Festival di Sanremo dove la coppia decide di esibirsi con una canzone difficile e diversa dalla tradizione musicale sanremese: “Ciao amore ciao”.
Nel corso di quel maledetto Sanremo, Tenco trova la morte nella sua stanza d’albergo 219 dell’Hotel Savoy, la notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967. Da quel momento in poi il confine tra ipotesi e certezze diventa sempre più sottile. Il commissario Molinari, incaricato delle indagini, arriva sulla scena del crimine inviando immediatamente un messaggio all’Ansa asserendo che Tenco si è suicidato: non gli è necessario alcun accertamento per giungere a tale conclusione. Eppure le imprecisioni della Polizia costituiscono il primo vero intralcio alle indagini. I necrofori intervenuti per portare via il corpo di Tenco sono dapprima incaricati di trasportarlo all’obitorio di Valle Armea; arrivati a destinazione si chiede loro di riportare immediatamente il corpo nella stanza 219 poiché la Polizia ha dimenticato di fotografare il cadavere. La scena del crimine viene così ricostruita: il cadavere è posto con i piedi sotto il comò e la pistola sotto le gambe, posizioni alquanto insolite per un suicidio. La domanda che ancora oggi angoscia chi si appresta a leggere del caso è: la ricostruzione è fedele rispetto alla posizione originaria del corpo oppure no? Per questi ed altri motivi un esposto dei giornalisti Buttazzi, Pomati e Colonna, impreziosito di una perizia criminologica del Prof. Bruno, fa sì che il caso sia riaperto nel dicembre 2005. La successiva autopsia avvenuto nel 2006, e mai svolta all’epoca della morte di Tenco, non permette però di chiarire i punti oscuri della vicenda nonostante il corpo riesumato sia in condizioni idonee a svolgere tutti gli accertamenti. Il caso viene quindi nuovamente chiuso nel 2009: secondo la Procura della Repubblica di Sanremo, nulla contraddirebbe l’ipotesi del suicidio.
Le conclusioni della Procura sono però destinate a essere subito contraddette. Nel luglio 2011 la casa editrice Tabula Fati pubblica un libro di Pasquale Ragone (criminologo) e Nicola Guarneri (giornalista d’inchiesta). L’opera, nelle sue 300 pagine, analizza in maniera maniacale ogni aspetto del caso: le analisi balistiche e gli accertamenti medico-legali che escludono l’ipotesi suicidiaria, fino ai motivi che avrebbero portato all’omicidio Tenco attraverso un’accurata analisi storico-politica delle vicende internazionali degli anni ’50-’60.

Il libro, intitolato “Luigi Tenco. Storia di un omicidio”, farà parte di un esposto alla Procura della Repubblica di Sanremo con l’obiettivo di far riaprire il caso per omicidio a carico di ignoti. Per scrivere finalmente la parola fine in una vicenda lunga ormai 45 anni.

Pasquale Ragone